Il richiamo del mare

Racconto lungo (50 pagine) di genere romance fantasy:




Alyssa si risveglia in un sogno: Ailoon è un mondo fantastico, la sua diversità la rende normale e il bellissimo Imaliel si proclama il suo compagno. Ma quale destino la attende negli abissi?




Estratto dei primi capitoli:


Uno

Il mare in tempesta si agitava furioso sotto ai suoi occhi pieni di lacrime, come se la stesse chiamando a unirsi a lui per l’eternità. Era esattamente la sua intenzione e, da quando era salita su quella patetica nave, era diventato un chiodo fisso. Zia Rosa l’aveva iscritta in segreto a un viaggio dedicato a persone single in cerca dell’anima gemella: una crociera di nove giorni attraverso le isole greche. Dopo le prime ore a bordo aveva constatato che l’età media dei partecipanti si aggirava intorno ai cinquanta quindi, con i suoi diciannove miseri anni appena compiuti, si sentiva fuori posto, molto più del solito.
Il nome del battello, “Second Chance”, avrebbe dovuto far insospettire Rosa, a cui sarebbe stato più indicato quel tipo di viaggio alla ricerca di una seconda possibilità in amore. Lei di possibilità non ne aveva mai avuta nessuna e aveva compreso che sarebbe sempre stato così dopo che Gianni Luppi le aveva spezzato il cuore, frantumato l’orgoglio e disintegrato l’esistenza alla tenera età di cinque anni.
Era accaduto al parco, vicino all’altalena su cui passava la maggior parte del tempo, dove Gianni si era avvicinato e l’aveva colpita in pieno viso con un sasso. Era rimasta scioccata da quel gesto e aveva cominciato a piangere e singhiozzare convulsamente mentre lui si allontanava cantilenando “mostro, mostro!”. Quel giorno l’ingenuità di bambina era andata distrutta e aveva capito di non essere come le altre coetanee. Da quell’istante aveva cominciato a vedere se stessa come appariva agli altri: diversa, deforme, mostruosa.
Non aveva mai provato a togliersi la vita, sebbene ci pensasse spesso, per non dare un dolore alla zia. Rosa non era una sua consanguinea, ma le aveva sempre dimostrato affetto da quando era stata affidata a lei a nove anni. Prima di allora aveva vissuto in istituto perché nessuna famiglia aveva avuto il coraggio di prenderla in affido. La sua nascita era un mistero, era stata trovata per strada quando aveva poco meno di un anno senza un documento né un biglietto addosso. Al polso aveva un braccialetto di stoffa tutto sporco e sdrucito con un nome e una data ricamate sopra: Alyssa, 13 giugno 1995.
Rosa era stata una delle poche persone ad affezionarsi a lei, forse perché era una donna sola, vedova e senza figli, o forse per il suo animo caritatevole. Non possedeva i requisiti per adottarla, ma aveva fatto in modo di tenerla con sé in affido fino alla maggiore età e successivamente l’aveva invitata a restare per sua libera scelta. A causa dei suoi settant’anni non le aveva mai proposto di chiamarla mamma, ma fin dall’inizio era stata zia Rosa.
Le sole persone con cui aveva un legame erano lei e le sue amiche con cui aveva instituito il club del ricamo il lunedì, la briscola il mercoledì, il cinema il venerdì sera e la cucina il sabato per preparare le torte da vendere la domenica dopo messa e raccogliere denaro per l’orfanotrofio e altre opere pie. Erano cinque donne sole, dai capelli grigi e i modi delicati, che le avevano insegnato a cucire, a giocare a carte e a cucinare e le avevano dimostrato affetto. Fino a quel momento si era obbligata a convincersi che le potesse bastare e che non avrebbe mai dato loro un dolore, togliendosi la vita. Aveva sempre pensato che non le avrebbe abbandonate, ma quando l’ultima di loro l’avesse preceduta nell’altro mondo allora anche lei le avrebbe seguite. In quel momento non le importava più nemmeno di loro, regalarle il biglietto per la crociera in occasione del suo compleanno era stata un’idea orribile.
Il mare richiamò la sua attenzione, urlando nella notte e infrangendo rumorosamente le onde sullo scafo. Guardò nuovamente in basso dal suo appoggio precario, in piedi oltre al parapetto e osservò le onde come ipnotizzata. Doveva affrettarsi prima che qualche single in cerca dell’anima gemella la scoprisse e compisse il gesto eroico di mettere da parte il deambulatore e salvare la povera pazza, costringendola a terminare da reclusa il viaggio che aveva intrapreso contro la sua volontà.
Sentì un sorriso affiorare sulle labbra: stava per provare la sensazione di immergersi in mare. L’aveva sempre amato, ma il terrore di indossare un costume da bagno e mostrarsi agli altri le aveva sempre impedito di arrendersi al suo richiamo. Sembrava folle, ma anche se aveva trascorso ogni giorno della sua vita sulla costa, non aveva mai imparato a nuotare: sarebbe stato troppo strano immergersi in acqua coperta da capo a piedi dai suoi voluminosi abiti neri. Era assurdo, ma per un istante pensò che stava finalmente facendo la cosa giusta ricongiungendosi al mare e quella intuizione le riempì il cuore di pace.
Chiuse gli occhi e si lasciò andare.


Due


Alyssa  aveva riaperto gli occhi già da qualche minuto, ma non riusciva a mettere a fuoco il viso che si protendeva su di lei. Era sdraiata su una superficie morbida e una luce fioca illuminava a malapena tutto ciò che la circondava. Aveva la chiara percezione di non indossare i suoi soliti abiti, che la proteggevano come un’armatura dagli sguardi curiosi, dalle occhiate crudeli e peggio di tutto dalle espressioni spaventate. In ansia, sbatté le palpebre più volte e finalmente l’immagine  del volto che la osservava divenne chiara: non la fissava con disprezzo, al contrario aveva un’espressione dolce e contrita.
Era un ragazzo dai lunghi capelli neri raccolti in due trecce, con la pelle bianca e sottile come un velo e gli occhi gialli come quelli di un gatto. Si alzò di colpo sui gomiti nel riconoscere i suoi stessi strani occhi nel viso di un altro: li aveva studiati così tante volte di fronte allo specchio, desiderando che fossero diversi. Grandi e di un giallo talmente brillante da essere inquietanti, soprattutto al buio, avevano sempre suscitato scalpore negli altri, tanto che si era abituata ad indossare lenti a contatto marroni. Il risultato però non era eccezionale, così portava occhiali da sole con lenti scurissime anche al coperto, alimentando la convinzione diffusa di essere un’adolescente disadattata e irrecuperabile.
Alyssa lo squadrò sfacciatamente, incredula nel ritrovare su di lui tutte le imperfezioni del proprio corpo, come se stesse osservando il suo riflesso allo specchio, ma in versione maschile. Nonostante avesse capelli lunghi quanto i suoi, lui non li sfruttava per nascondere le orecchie, più grandi e a sventola del normale, né le braccia. A partire dai polsi fino al collo aveva delle cicatrici simili a quelle che sfregiavano la sua pelle: delle linee contorte e dall’aspetto inquietante che Alyssa non mancava mai di nascondere sotto ai capelli e alle maniche lunghe degli abiti. Le cicatrici del ragazzo continuavano sul petto, formando una fitta ragnatela intorno al cuore e anche se da quella posizione non poteva vederle, Alyssa era certa che si estendessero sulla schiena allo stesso modo delle proprie. Anche in quel caso era basita dal fatto che lui non le nascondesse, anzi sembrava quasi ostentarle con l’abbigliamento minimalista che indossava, se così si poteva definire una specie di pantalone di finissima stoffa marrone che arrivava poco sopra al ginocchio e null’altro.
Infine Alyssa osservò il difetto peggiore di tutti: i suoi stessi piedi ributtanti che aveva odiato fin da bambina e non riusciva a guardare nemmeno quando faceva la doccia chiusa a chiave in bagno. Non solo erano palmati come quelli di una papera, ma apparivano anche enormi e sproporzionati rispetto al suo metro e settanta di altezza. Cercava sempre di nasconderli con lunghe gonne nere il cui orlo sfregava per terra quando camminava, raccogliendo foglie e fango, ma era difficile celare quelle ingombrati pinne, infatti, chiunque incontrasse si accorgeva della sua deformità. Nel vederla tanto complessata e infelice, Rosa si era informata in vari studi medici per sapere se fosse possibile un intervento, ma l’esito era stato unanime: il problema non sarebbe scomparso e lei avrebbe corso il rischio di non poter più camminare.
Alyssa si rese conto che stava fissando il suo alter ego da molto tempo senza dire nulla, ma non riusciva a parlare da tanto era incredula: mostrava il suo corpo senza vergogna e, cosa ancora più strana, lei lo trovava bello. Anche lui la fissava apertamente, ma il suo sguardo era benevolo e sebbene in quel momento anche il corpo di Alyssa fosse in vista, stranamente lei non si sentiva a disagio. Non indossava più il lungo abito che di solito le copriva braccia e piedi; della sua divisa abituale restava solo la sottoveste rossa che amava sentire a contatto con la pelle: un piccolo segreto di vanità, nascosto da molti altri strati di spesso tessuto nero.
Alyssa si stava chiedendo se fosse tutto reale quando afferrò la verità: doveva essere in coma e stava facendo un sogno assurdo. Di fronte a quella nuova consapevolezza, la sua prima reazione fu di rabbia: non solo non era riuscita a uccidersi, ma era anche così patetica da creare un’illusione in cui un uomo avesse le sue stesse limitazioni invece di ideare un sogno in cui liberarsene. Scrollò il capo, pensando a quanto fosse stupida, ma la sua attraente illusione le parlò per la prima volta con una voce profonda e melodiosa:
«Alyssa, benvenuta ad Ailoon 

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